Quando il testamento olografo può salvarti la vita!
– I casi speciali di successione ereditaria in assenza di testamento
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Nel diritto ereditario, i rapporti trasmissibili sono quelli che non si estinguono con la morte del soggetto; quindi, in via generale, si trasmettono i diritti patrimoniali assoluti (come la proprietà, gli altri diritti reali e le relative azioni) ma non anche quelli personalissimi come l’usufrutto, l’uso, l’abitazione, che si estinguono con la morte del loro titolare. Contratti e obbligazioni pure si trasmettono purché non fondati sulle qualità personali della parte, così pure i rapporti inerenti all’azienda, di cui il de cuius (o defunto) fosse titolare.
Il diritto ereditario disciplina 3 tipologie di successione:
1) “testamentaria”, nella quale il defunto dispone tramite atto testamentario il suo patrimonio, secondo le disposizioni di legge;
2) “legittima”, che si realizza quando il defunto non ha disposto il testamento o esso viene successivamente dichiarato invalido, facendo intervenire di fatto e in automatico le disposizioni normative;
3) “necessaria”, se le disposizioni testamentarie violano i diritti garantiti dalla legge ai parenti più stretti, a cui spetta sempre di diritto una quota legittima di eredità.
Volendo dunque analizzare la questione successoria in questa chiave parrebbe che la legge abbia già disposto tutte le coperture necessarie, in ogni possibile ipotesi. Così però non è!
Esistono ipotesi molto concrete nelle quali determinati diritti e specifiche aspettative non sono rispettate e/o tutelate, nonostante tutte le coperture garantiste previste; questo perché il codice civile del 1944 era fortemente strutturato per tutelare la famiglia più stretta e non anche altri possibili componenti.
Vediamo insieme una serie di ipotesi critiche che meriterebbero un ventaglio protettivo più strutturato:
1) La successione delle quote aziendali. La successione ereditaria a seguito della morte dell’imprenditore o di un socio è sempre un problema molto spinoso, in quanto cambiano gli equilibri, sia per la famiglia del defunto che per i soci sopravvissuti al compianto. Qui le questioni giuridiche in gioco sono molteplici: la comunione legale tra i coniugi; il valore dell’azienda ai fini dell’operazione di collazione ereditaria; la liquidazione aziendale e/o la messa in liquidità della quota aziendale in favore dei legittimari del defunto; l’ingresso in società di un curatore nominato dal Tribunale, anche in funzione dell’eventuale presenza di figli minori del defunto. In questo caso dunque bisognerà intervenire con la stipulazione di un testamento in grado di prevedere siffatte ipotesi e indicare il rimedio preferito, che può essere la previsione di un clausola di continuazione/consolidamento aziendale o dell’ingresso in società del familiare legittimario o ancora un contratto assicurativo caso morte in grado di garantire rendite e capitali capaci di sopperire l’eventuale difficile liquidità societaria.
2) I diritti successori spettanti ai non legittimari. La legge stabilisce i soggetti legittimari, ovvero quelle figure parentali che devono ricevere necessariamente una quota specifica di patrimonio anche in presenza di un testamento. Essi sono: il coniuge, i discendenti, gli ascendenti e i fratelli (in assenza di coniuge e discendenti). Questo vuol dire che a questi soggetti, in alcun caso, è possibile sottrargli la quota stabilita dalla legge. Tuttavia, tramite l’utilizzo di precisi strumenti giuridici è possibile riportare l’equilibrio patrimoniale e garantire una diversa ed apprezzabile destinazione delle ricchezze, come ad esempio il “legato successorio”, l’utilizzo della “quota disponibile” e le “polizze caso morte” (in ambito assicurativo).
3) La successione ereditaria del convivente more uxorio. E’ l’ipotesi della convivenza stabile e duratura, in comunione spirituale e materiale, di un rapporto fuori dal matrimonio, oggi disciplinata dalla Legge Cirinnà del 2016. Il convivente, non rientrando tra i legittimari, non gli spetta alcuna quota per legge ma solo l’eventuale lascito tramite testamento nei limiti della quota di legittima. E dunque, il convivente si potrebbe trovare nella situazione di perdere l’abitazione non di proprietà a favore dei legittimari del compagno, proprio perché al tempo non venne stipulato un testamento (salvo il diritto di abitazione). Addirittura, Nel caso in cui il partner superstite non restituisse l’immobile o altri beni di appartenenza al compagno defunto si configurerebbe una vera a propria appropriazione indebita penalmente rilevante, salvo che non vi sia una nuova attribuzione o vi sia un legato testamentario specifico. Concludendo, attualmente l’ordinamento lascia completamente sprovviste di qualsivoglia tutela dal punto di vista successorio le coppia di fatto, unica soluzione per le stesse sembrerebbe essere quella di lasciare disposizioni testamentarie, restando tuttavia più che auspicabile un intervento volto a revisionare l’intera normativa e a porre effettivamente sullo stesso piano le varie formazioni familiari senza alcuna distinzione, eliminando ogni tipo di pregiudizievole differenziazione. Anche qui però il testamento e l’eventuale stipulazione di polizze assicurative caso morte potrebbero quanto meno rendere la situazione più tollerabile e meno svantaggiosa per il partner sopravvissuto.
4) La successione del coniuge separato e/o divorziato. In caso di separazione occorre distinguere la “separazione consensuale”, che avviene in caso di accordo dei coniugi, dalla “separazione giudiziale” che si ha a seguito di una vera e propria causa davanti al giudice alla quale si ricorre nell’ipotesi di disaccordo dei coniugi. Nell’ipotesi di separazione giudiziale poi si distingue ulteriormente tra separazione senza addebito e separazione con addebito. Si parla di separazione con addebito nel caso in cui si è fatto ricorso alla separazione giudiziale e uno dei coniugi ha chiesto e ottenuto l’addebito della separazione all’altro coniuge. Dunque, nel caso di separazione consensuale o separazione giudiziale senza addebito il coniuge superstite ha gli stessi diritti successori del coniuge non separato, quindi ha diritto: a) all’intera eredità se non concorre con altri successibili; b) alla metà dell’eredità se alla successione concorre un solo figlio; c) ad un terzo dell’eredità se concorre alla successione con più figli, ad essi sono equiparati i figli adottivi; d) ai due terzi dell’eredità se concorre con gli ascendenti o con fratelli e sorelle del coniuge defunto. Al coniuge superstite sono riservati, inoltre, i diritti di abitazione sulla casa familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o di entrambi i coniugi, purché ne sussistano i presupposti. Nell’ipotesi, invece, di separazione giudiziale con addebito, pronunciata con sentenza passata in giudicato: il coniuge a cui non è stata addebitata la separazione ha gli stessi diritti di successione del coniuge non separato; il coniuge a cui è stata addebitata la separazione è escluso dalla successione e ha solo diritto ad un assegno vitalizio se al momento dell’apertura della successione godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto. L’importo dell’assegno viene determinato in base alle sostanze ereditarie e alla qualità e al numero degli eredi legittimi, in ogni caso non può essere superiore all’ammontare della prestazione alimentare goduta. Tale disciplina si applica anche nel caso in cui la separazione sia stata addebitata ad entrambi i coniugi. Nel caso di coniugi separati il TFR (trattamento di fine rapporto) e la pensione di reversibilità dell’ex coniuge defunto sono dovuti al coniuge superstite anche se la separazione sia stata a lui addebitata, purché gli sia stato riconosciuto il diritto all’assegno vitalizio. In particolare: a) il TFR maturato dal lavoratore defunto, spetta al coniuge (anche separato) in concorso con i figli e i parenti entro il terzo grado (e affini entro il secondo grado) se conviventi con il lavoratore defunto; b) la pensione di reversibilità spetta al coniuge superstite, ancorché separato. Oltre al coniuge è bene ricordare che ne hanno diritto anche i figli che alla data del decesso siano minori di 18 anni oppure studenti fino al compimento dei 21 anni se frequentano la scuola media superiore o professionale o fino al compimento dei 26 anni se frequentano corsi universitari (nei limiti della durata del corso legale di studio), purché siano a carico del genitore al momento del decesso e non prestino attività lavorativa retribuita. Nel caso di figli inabili, essi hanno diritto alla pensione di reversibilità del genitore defunto a prescindere dall’età. Nel caso in cui il defunto abbia contratto più matrimoni, la pensione di reversibilità deve essere ripartita tra i coniugi superstiti; il giudice, su richiesta delle parti, stabilirà la ripartizione basandosi soprattutto sulla durata dei matrimoni ma vi è la possibilità di dare rilievo anche ad altri elementi che possono emergere nelle singole fattispecie come lo stato di bisogno di una parte. In ogni caso il diritto alla pensione di reversibilità cessa per il coniuge separato superstite che contragga nuovo matrimonio. E’ opportuno ricordare, infine, che il TFR del lavoratore defunto e la pensione di reversibilità spettano agli eredi che ne hanno diritto anche se questi hanno rinunciato all’eredità. La pronuncia di scioglimento del matrimonio civile o di cessazione degli effetti civili del matrimonio religioso (divorzio), infine, comporta per il coniuge divorziato la perdita del diritto di partecipare alla successione dell’ex coniuge. Tuttavia, la legge sul divorzio attribuisce al coniuge divorziato il diritto ad un assegno periodico a carico dell’eredità nell’ipotesi in cui si trovi in uno stato di bisogno e godesse dell’assegno divorzile al momento dell’apertura della successione. Il coniuge divorziato superstite infine ha il diritto di percepire una quota del TFR dell’ex coniuge, anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza di divorzio, se presenta i seguenti requisiti: a) è titolare di assegno divorzile e non lo ha ricevuto in un’unica soluzione; b) non è passato a nuove nozze. Al ricorrere di tali presupposti al coniuge divorziato superstite spetta il 40% dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio. Per quanto riguarda, invece, la pensione di reversibilità, essa spetta al coniuge divorziato superstite solo se ricorrono le seguenti 3 condizioni: a) il coniuge superstite è titolare di assegno divorzile e non lo ha ricevuto in un’unica soluzione; b) il coniuge superstite non è passato a nuove nozze; c) il rapporto di lavoro dal quale ha origine il trattamento pensionistico deve essere anteriore alla sentenza di divorzio. Qualora l’ex coniuge defunto non abbia contratto nuove nozze, il coniuge divorziato superstite che presenti i suddetti requisiti avrà diritto all’intera pensione di reversibilità e ad una quota di TFR calcolata con i criteri sopraindicati. Differente è l’ipotesi in cui l’ex coniuge defunto si sia risposato e vi sia uno o più coniugi successivi aventi diritto anch’essi alla reversibilità e al TFR; in tal caso, il coniuge divorziato superstite avrà diritto ad una quota della reversibilità e del TFR che sarà determinata dal Tribunale tenendo conto, anzitutto, della durata dei rispettivi matrimoni (comprensiva del periodo di separazione) e poi anche dell’eventuale periodo di convivenza prematrimoniale, dell’ammontare dell’assegno goduto dal coniuge divorziato prima del decesso dell’ex coniuge, delle condizioni economiche di ciascun coniuge, nonché di ogni altro elemento che venga in rilievo nel caso di specie.
In tutte queste ipotesi si ravvisano chiaramente delle criticità non di facile risoluzione.
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